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Cavese


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storia
Cinquant’anni di dominio DC
nel regno di Eugenio Abbro

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Il “professore” è stato sindaco per ben cinque lustri e tramite colleghi di partito ha governato un altro ventennio. È stato eroso un patrimonio secolare. Il monopolio dello scudo crociato si rompe per la prima volta con l’ing. Sammarco e poi nel ’93 con Raffaele Fiorillo che ha riassestato il bilancio e condotto alcuni importanti lavori pubblici
Biagio Angrisani



Nei primi anni del dopoguerra  Cava diede forza alla Democrazia Cristiana e, in perfetta linea con lo spirito politico campano, contribuì anche ad alimentare una presenza monarchica cospicua. Socialisti e comunisti, repubblicani, liberali e missini erano minoritari in consiglio comunale rispetto al ceppo democristiano-monarchico (poi saldatosi in un unico blocco DC) che nelle sue varie evoluzioni dominerà la città, per decenni.
Nel 1952 diventò sindaco Luigi Formosa che restò in carica sino al giugno del 1954, mentre a Roma si avvicendavano nella carica di Presidente del Consiglio i vari De Gasperi, Pella, Fanfani e Scelba, tutti DC. La crescita della popolazione cavese alimentava la domanda di attività edilizia e anche sul territorio metelliano giunse il piano statale Inacasa voluto da Fanfani. La scelta degli insediamenti e la realizzazione, a distanza di mezzo secolo, si è rivelata intelligente e di buona tenuta anche alla prova di violenti terremoti a differenza di altre opere successivamente costruite.
Nel giugno del 1954 Eugenio Abbro ebbe il suo primo mandato di Sindaco che tenne sino al novembre del ’58. Istruttore di educazione fisica, personaggio deciso e buon conoscitore dell’indole cavese, Abbro ha gestito la carica di Sindaco, in diverse epoche, in prima persona per circa 25 anni, insieme ad amici e alleati per oltre quarant’anni, diventando il punto di riferimento a Cava nell’arcipelago democristiano imperante in Campania. Il debutto di Abbro sulla scena politica avvenne sotto le insegne del partito monarchico. Tirocinio utilissimo, perché quando approdò in casa diccì riuscì a trovare sempre la corrente giusta per gestire il Comune e, nei successivi decenni, per fare carriera a livello provinciale e regionale. Abbro ereditò una macchina amministrativa comunale all’avanguardia nel sistema contabile e la città era una delle più ricche del Sud Italia. L’economia statale (Manifattura, Agenzia Tabacchi) creata dall’Italia prefascista assicurava un diffuso ceto operaio garantito ed era il naturale sbocco della tabacchicoltura diffusa nell’agricoltura metelliana, mentre il secolare commercio consentiva alle famiglie in impresa, in molti casi, un livello di vita medio-medio alto.
Dal novembre 1958 al dicembre del 1960 fu sindaco il diccì Raffaele Clarizia che poi lasciò le chiavi del potere di nuovo nelle mani di Abbro, che per ben dieci anni governò indisturbato. Cava non era San Giorgio a Cremano, ma nella seconda metà degli anni Cinquanta furono buttate le basi per far assomigliare una delle più belle e ricche cittadine del Mezzogiorno d’Italia a un paesone simile ai tanti scempi urbanistici presenti nell’hinterland napoletano. E uno degli ideatori e artefici di questa assurdo progetto fu proprio il “professore”. Il carissimo prezzo che la città doveva pagare era la distruzione quasi totale del centro storico. Cava de’ Tirreni, secondo comune della Provincia per numero di abitanti, doveva diventare, nei progetti di questo blocco politico-imprenditoriale, una città di circa novantamila abitanti, considerando la disponibilità di zone (boschi di colline e monti) utilizzabili. La speculazione partì in grande stile e in pieno centro storico furono date licenze per l’edificabilità dei Palazzi Rizzo, veri e propri colossi di cemento armato a ridosso dei secolari e storici palazzi. Il progetto, per fortuna, non fu mai portato a compimento secondo i desideri originari grazie alla tenace opposizione di partiti politici e associazioni presenti sul territorio e a una serie di leggi che non permisero l’insana follia. Le nuove generazioni non sanno che una lobby politico-economica contava  di radere a zero il centro storico da via A. Sorrentino sino a via della Repubblica, sostituendo gli storici palazzi con allucinanti grattacieli. L’insano progetto fu poi modificato: il risultato di quelle lotte e mediazioni (con approvazione del Piano regolatore)  sono i palazzi di notevole dimensioni che fanno da cintura al borgo Scacciaventi e al restante centro storico. Con il forte traino dell’industria edilizia che produsse senza dubbio un aumento della massa monetaria circolante, Abbro ottenne consensi e gestì senza problemi il potere  negli anni sessanta, costruendo la sua ascesa personale che lo doveva portare a ottenere cariche nei consigli provinciali e regionali.
Per capire lo spirito del tempo segnaliamo il celebre film di Francesco Rosi, “Mani sulla città” (1963). Fu girato a Napoli dove ogni cosa esplode all’ennesima potenza, ma è una significativa cartina di tornasole per capire che aria tirava nell’Italia del boom economico.


Il progetto Cava città sportiva, uno dei cavalli di battaglia di Abbro, prevedeva stadio, velodromo, piste, piscine scoperte e coperte, palazzetto dello sport, palestre e una serie di opere minori. La maggior parte delle opere messe in cantiere non è stata realizzata secondo i piani originari o non è stata più fatta. L’unica opera completa è lo  stadio comunale (oggi “Simonetta Lamberti”), sul modello, in scala, dello stadio Olimpico di Roma. Le altre iniziative o sono abortite sul nascere o le modifiche nel corso d’opera le hanno storpiate insieme ai modesti materiali utilizzati. La Piscina comunale, di misure olimpioniche, e ubicata nel cuore della città, reca tare tali che la rendono pressoché inutilizzabile. L’idea di Cava città dello sport, era ottima... ma il risultato finale è stato modesto e non soddisfa nemmeno le esigenze della popolazione attuale.
Il costruttore Casillo, oltre a vari palazzi (e l’ottimo stadio), realizzò anche il complesso edilizio del Social Tennis Club dove nei primi anni sessanta la riccotta borghesia cavese e salernitana assisteva a incontri di tennis, spettacoli musicali e si dilettava nel gioco delle carte che raggiunse  interessi tali da far sorgere in diversi esponenti politici ed economici l’idea di creare a Cava un casinò come a Venezia o Campione d’Italia.
Intanto la città cambiava volto. Progressivamente si assottigliavano gli appezzamenti di terreno dediti alla produzione del tabacco e molta manodopera espulsa dai campi approdava nell’ edilizia. Il commercio cittadino conservava una sua specificità grazie al background secolare. I commercianti cavesi se la passavano bene anche se, con l’abbandono di molte attività artigianali (mito dell’industria a tutti i costi) si andava lacerando un tessuto connettivo che avrebbe poi messo in crisi, successivamente, lo stesso terziario mercantile, settore trainante dell’economia cittadina.
Negli anni settanta il fallimento di una scellerata politica industriale (mega stabilimento) nel settore della ceramica oltre a produrre disoccupazione, tarpò le ali anche allo sviluppo di piccole e medie imprese più legate alla tradizione del territorio e alla scuola di ceramica locale di buon livello che poteva invece conquistare grandi mercati con altri tipi di prodotti.
Causa indisponibilità di Abbro, impegnato in altre faccende politiche extra comunali, dal 1970 al 1973 diventò sindaco Vincenzo Giannattasio, avvocato, democristiano, assicuratore. La consistente pattuglia dc in seno al consiglio con l’appoggio di vari alleati continuava a governare la città poggiando soprattutto sul consenso interclassista dello scudo crociato. Il dibattito nel consiglio comunale di Cava, era sempre stato vibrante, grazie alla presenza di figure come Riccardo Romano (comunista e senatore della Repubblica), Gaetano Panza (socialista), Domenico Apicella (socialdemocratico).
Diego Ferraioli, medico, dc, amministra dall’aprile del ’74 al giugno del ’75. Il 12 maggio, appena Sindaco, firmò i verbali del voto cavese sui risultati dei referendum per l’abrogazione del divorzio, ma non quelli delle elezioni regionali dell’anno successivo che diedero alla DC oltre il 36 per cento dei voti. Abbro, sempre col vento in poppa, svolge il ruolo di patriarca. Dopo il Ferraioli le redini del comune finiscono nelle mani di Andrea Angrisani, dc, avvocato, di origini nocerine, che dal settembre del ’75 al gennaio del ’78 manda avanti la macchina comunale. La Dc era stata parzialmente penalizzata dagli elettori: non aveva più la maggioranza assoluta come nella precedente legislatura, ma restava indiscutibilmente il primo partito. Aveva bisogno di un alleato e non trovò di meglio che affidarsi al voto esterno del Movimento Sociale per continuare ad amministrare da sola la città. La tensione politica in Italia era altissima. Lo scontro si radicalizzò e anche a Cava si registrano squallidi episodi di squadrismo compiuti da mazzieri salernitani. A pagarne le conseguenze furono alcuni studenti impegnati a democratizzare la scuola negli anni in cui venivano introdotti i decreti delegati. La piazza venne attraversata dai fremiti della violenza politica. La sede del Msi (sopra il bar Liberti) fu assaltata da esponenti di Lotta Continua; quella del PCI (dov’è oggi il Respighi) ospitò concitate assemblee giovanili. I ciclostili giravano a pieno regime. Al di là del clima che investiva tutto il Paese in quegli anni, non si poteva fare a meno di attribuire la causa di quelle violenze locali all’infelice scelta del partito di Abbro di coalizzarsi con i missini.
Erano anni nei quali molti abusi edilizi marciavano a tutto gas anche perché poi venivano sanati dai vari condoni a cascata con i quali il sistema centrale democristiano provvedeva a gratificare gli enti locali per autoalimentare una parte delle entrare nel bilancio del Paese, spingendo però in tal modo l’inflazione in alto e massacrando il territorio.
Il vero potere politico di Abbro sulla città lo si individua soprattutto negli anni durante i quali non ha svolto la funzione di Sindaco. Don Eugenio, prima eletto alla Provincia e poi in Regione, nell’immaginario cavese lavorava per la Città, col mestiere della politica, mentre i suoi epigoni amministravano la res pubblica locale.
Intanto in larghe zone della Campania, nelle vecchie e nuove roccaforti, la camorra organizzata si espandeva e faceva un salto di categoria. Oltre a svolgere le attività tradizionali (sigarette, droga, prostituzione e altri commerci illeciti) allargava ancora di più il suo controllo su diversi esponenti della classe politica interessata agli appalti pubblici, essendo diventata imprenditrice, e iniziava anche a penetrare in vari settori finanziari ed economici.
A livello regionale in seno alla scudo crociato la corrente dei Gava, padre e figlio, andava alla grande ma per una “questione di immagine” molti dc campani (e anche cavesi) si definivano “andreottiani”. Vent’anni dopo i grandi referenti sarebbero poi finiti alla sbarra accusati di connivenza con mafia e camorra.
Moro venne rapito dalle B.R. il 12 marzo ’78, vigilia del IV governo Andreotti che doveva segnare l’ingresso del PCI nell’area della maggioranza. Il cadavere dello statista scombussolò l’Italia politica e alcuni contraccolpi si fecero sentire anche nelle periferie. Il sistema politico italiano con la Democrazia Cristiana nel ruolo di partito-stato iniziava a mostrare le sue crepe e le cose indicibili.
Nella valle cavese per due mesi abbondanti (maggio-luglio 1978) divenne sindaco Bruno Lamberti, luciano, dc. Fragilissimo fu il suo mandato, frutto di una insanabile spaccatura all’interno della democrazia cristiana cavese.


In un accaldata serata dell’agosto 1978, davanti a un pubblico numeroso e rumoreggiante, il consiglio comunale di Cava elesse Sindaco l’indipendente di sinistra Giuseppe Sammarco a capo di una di giunta sostenuta da PCI, PSI, PSDI e indipendenti. Determinanti furono alcuni “ribelli della DC”. L’elezione di Sammarco, sostenuto da uno schieramento comunque minoritario, segnava un cambio epocale. Per la prima volta si rompeva un monopolio, ma fu più un atto simbolico, dato che i risultati pratici furono modesti. Fu anche la prima e unica volta di Riccardo Romano assessore. La giunta Sammarco dovette far fronte a una crisi economica in atto e resa ancora più dura dai licenziamenti e dalla cassa integrazione in vari segmenti dell’industria cavese. Ma durò pochissimo. I consiglieri democristiani, almeno per una volta uniti, decisero di dimettersi in blocco insieme con i due esponenti del MSI. Cade il consiglio comunale e si va a nuove elezioni.
Con la nuova infornata (che premiò ancora la Dc) diventò sindaco Federico De Filippis, che per due anni (gennaio 1979-gennaio 1981) diresse il Comune naturalmente sotto l’ala protettiva di Abbro. Quest’ultimo, terminata la tournée politica extra-comunale, ritornò a gestire in proprio la macchina comunale nel gennaio del 1981 sino al maggio dello stesso anno, mettendo a tacere, con la sua presenza tutte le fronde interne e facendo sentire il suo peso nel rapporto con gli alleati laici. E poi c’era da gestire l’emergenza del dopo terremoto e il professore pensò bene di impegnarsi in prima persona.
Mentre a Roma per la prima volta andava a Palazzo Chigi un laico (Spadolini), a Cava ritornava sindaco Andrea Angrisani che restò in carica sino al mese di ottobre del 1983, per ripassare il pallino nelle mani di Abbro. Una specie di ping-pong che aveva nel consenso popolare la sua legittimazione ogni volta che si tornava alle urne. Il blocco politico-economico al potere che aveva nel deputato dc Giovanni Amabile (azionista della maggiore banca cittadina, l’ex CCT, del gruppo Tirrena assicurazione e della società Metelliana spa) uno dei maggiori referenti, riesce a conservare abbastanza agevolmente la gestione della città anche grazie all’appoggio di vari esponenti di liste locali.
Dall’ottobre del 1983 al dicembre del 1993 Abbro è di nuovo sindaco. Un lungo decennio durante il quale la città si depaupera vistosamente. La piccola Svizzera della Campania diventa sempre più un tipico comune del salernitano senza più quell’appeal che l’aveva resa famosa nei secoli. La galleria ferroviaria Nocera-Salerno la taglia fuori da una delle grandi arterie di comunicazione.
Negli anni ottanta in Campania sono gli anni della NCO (Nuova Camorra Organizzata). Il grande affare post-terremoto, legato alle decine di migliaia di miliardi statali per la ricostruzione, scatena gli appetiti degli squali e la Campania viene messa a ferro e fuoco dalla camorra che trova complicità anche all’interno delle istituzioni. Sebbene la camorra fosse presente in Campania ormai da quasi quattro secoli (brutto regalo degli spagnoli e poi abilmente gestita nei secoli da delinquenti comuni, latifondisti senza scrupoli e persino dal sovrano napoletano nei momenti di crisi del Regno borbonico)  sino agli ottanta Cava era considerato un centro poco permeabile all’influenza camorristica, ma da successive indagini della DIA e da episodi avvenuti (regolamenti di conti con morti tra bande rivali, arresti, ritrovamenti di armi, etc...) si è avuto la triste conferma della penetrazione di questo cancro nel tessuto sociale ed economico cavese. Una delle poche aree ancora immuni del salernitano era stata contagiata.
Il più clamoroso caso di cronaca nera lascerà senza vita il corpo della giovanissima Simonetta Lamberti, figlia di Alfonso, giudice noto anche per l’attività universitaria, pubblicistica e per le sue vicende personali che lo porteranno poi in carcere per una serie di reati legati alla vita personale e professionale.
Nell’ultimo quindicennio la più grande opera pubblica cavese messa in cantiere, la copertura della ferrovia e relativo parcheggio, è stata realizzata solo parzialmente rispetto al progetto complessivo e su quest’opera, attesa da tutta la città, c’è stato anche l’intervento dei giudici salernitani per l’operato di alcuni protagonisti.


Dal 1993 al 2001 a Cava è stato sindaco Raffaele Fiorillo, cavese. Nei primi mesi dell’anno le sinistre insieme agli altri partiti del centro trovarono il coraggio di scalzare Abbro e i suoi e di condurre il Comune fino alle elezioni, le prime col nuovo sistema elettorale. Al sofferto e combattuto ballottaggio Fiorillo superò Eugenio Abbro e divenne il primo sindaco eletto direttamente dal popolo.
La giunta progressista ha ereditato mezzo secolo di dominio DC. Finanze all’asciutto, opere pubbliche bloccate dalla magistratura, rete idrica allo sfascio, strade dissestate, migliaia di persone ancora nei prefabbricati dal terremoto dell’80, più di una serie di ostacoli come alcune potenti lobby economiche legate ai vecchi referenti politici.
Nei due quadrienni l’amministrazione ha puntato a risanare le finanze (migliaia di persone non pagavano adeguatamente l’acqua e la spazzatura da anni) riuscendo a riequilibrare i conti e ha varato diversi lavori pubblici portando a termine la pedonalizzazione del centro storico e la relativa ristrutturazione di Piazza Duomo. Altre opere pubbliche hanno interessato le frazioni. Abbastanza coraggioso anche il programma di politiche sociali rivolte ai giovani e agli anziani in un quadro politico-economico nazionale orientato all’austerità delle forche caudine imposte dai trattati di Maastricht.


Dopo otto anni di centrosinistra, con Raffaele Fiorillo primo cittadino, le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale del 2001 portano il centrodestra al governo della città. Nelle elezioni di maggio Alfredo Messina batte al ballottaggio il candidato del centrosinistra Francesco Musumeci. Messina nelle precedenti elezioni aveva tentato la scalata al posto di primo cittadino. La sua maggioranza è composta da 18 consiglieri eletti nelle fila di Forza Italia, Ccd.
Già capo dell’ufficio legale del Comune, Messina aveva iniziato la scalata politica nel ’96 con la fondazione dell’associazione culturale “Confronto”, poi tramutatasi in movimento politico, con la quale aveva partecipato alle precedenti amministrative, conquistando un posto in consiglio comunale. Dal 2000 è iscritto a Forza Italia.


Il nostro lungo cammino si ferma qui. Avremmo voluto raccontarvi anche altro ma lo spazio è tiranno. Cinque secoli fa Cava era una delle città più importanti del Mezzogiorno d’Italia, oggi è un centro del Sud che deve lottare contro disoccupazione e camorra. Ha ancora importanti energie per offrire ai suoi abitanti una vita accettabile, istruzione ai giovani e una decente vecchiaia agli anziani. La sfida è ardua. Per vincerla occorre l’apporto di gente onesta, preparata e amante di queste secolari montagne che proteggono questa valle, i suoi abitanti e il loro lavoro da migliaia di anni.

FINE

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