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cultura & società
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Frammenti di calcio europeo
nell’inferno di un’Europa in fiamme
Biagio Angrisani
I fratelli di Árpád
Areablu Edizioni 2015
Euro 15,00
Enrico Passaro
Biagio Angrisani ha scritto un altro dei suoi libri, libro di calcio ma
soprattutto libro di storia, meglio ancora, libro di umanità, un’umanità apparentemente felice e spensierata che aveva scelto di correre dietro a un
pallone. Forse il più arioso e articolato dei libri di Biagio: parte dalla principessa Sissi e gli
ultimi anni dell’impero austro-ungarico e accompagna decine, centinaia di calciatori e allenatori
nel loro peregrinare in una tragica Europa sui campi di un football
dapprincipio giovane e improvvisato e poi rapidamente sempre più coinvolgente per le masse e sempre più strumento del potere. Passione spontanea e oppio dei popoli. Le ultime pagine
arrivano a una sorta di censimento finale di questi protagonisti dei campi di
gioco, un ultimo appello doloroso lanciato alla fine della seconda guerra
mondiale, in cui si contano i soppressi e i sopravvissuti, tutti comunque
sacrificati a un destino spesso crudele che sostituisce alla gloria degli anni
migliori, le persecuzioni, le esecuzioni o, nelle migliori delle ipotesi, gli
stenti di una vecchiaia povera o da dimenticati.
Come nelle pubblicazioni precedenti (“Mister William Thomas Garbutt” 2004; “Il destino nelle mani - Vita e carriera di Giovanni De Prà” 2008) Angrisani non si limita a descrivere gli accadimenti sportivi, ma li
inquadra nel contesto di un’analisi scrupolosa dei fatti storici in cui gli atleti del gioco più bello del mondo muovevano le loro gambe. E se nei precedenti abbiamo appreso
molti retroscena legati ai primi passi del nostro sport nazionale, in questo “I fratelli di Árpád” il respiro è europeo, con un occhio particolare alle sorti di un paese che evidentemente
Biagio considera abbia inciso in maniera fondamentale sull’evoluzione continentale del gioco del calcio, l’Ungheria, che tanti campioni e tanti tecnici della panchina ha riversato sui
prati verdi di tutta Europa. Con loro, con i loro successi o insuccessi, con i
trionfi e le disgrazie (molti di questi erano di origine ebrea) si realizzano
le avventure dei nostri campioni prediletti, i Piola, i Meazza, il Grande
Torino e quel gigante di Vittorio Pozzo che conquistò due titoli mondiali e un’olimpiade con la nostra Nazionale.
Árpád Weisz, ungherese appunto, cui è dedicato il titolo del libro, simbolicamente rappresenta anche i suoi “fratelli” di origine ebrea che a un certo punto della loro bella e fino a quel momento
creduta fortunata vita, dovettero cominciare a cercare un riparo sicuro contro
la crudele follia del nazifascismo. Ma non c’era in Europa un posto sicuro per proteggerli, e Árpád, bravo calciatore e ancor migliore allenatore, che in Italia aveva vinto 3
scudetti (1 con l’Inter e 2 col Bologna), insieme a tanti altri colleghi finì di lottare e sognare ad Auschwitz.
Il libro si legge con grande interesse e partecipazione, nelle sue descrizioni
Biagio fa un uso raffinato e ricercato della lingua e un’acuta analisi degli accadimenti storici. Da non trascurare la godibile
prefazione affidata ad Italo Cucci, che, come prima di lui Antonio Ghirelli per
“Garbutt” e Gianluigi Buffon per “De Prà”, sa trovare parole appropriate, condite di aneddoti, per introdurre la lettura.
La copertina, ideata dall’art director Pasquale Mallozzi in sinergia con l’autore, e realizzata dall’editore Areablu di Grafica Metelliana è da premio internazionale (come infatti è accaduto nei giorni scorsi con lo Scodix Design Award) e mostra un vecchio
pallone di cuoio in rilievo e un filo spinato che incombe.
Panorama Tirreno, marzo 2016
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