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cultura
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“1948”, visto dal 2018
Mario Avagliano e Marco Palmieri descrivono nel nuovo libro l’anno cruciale della Repubblica, intorno alle prime elezioni del Parlamento
svoltesi il 18 aprile
Mario Avagliano e Marco Palmieri
1948 - Gli italiani nell’anno della svolta
Il Mulino 2018
Sarà il clima del recente aprile 2018, ma leggere per intero il dettagliato
resoconto legato all’aprile 1948 redatto da Mario Avagliano e Marco Palmieri (“1948 - Gli italiani nell’anno della svolta”) un po’ ti rinfranca e un po’ ti angoscia. Angoscia riscontrare (ma diciamo che se ne ha semplicemente
conferma) che la competizione elettorale nella democrazia parlamentare della
repubblica italiana è stata sempre, o molto spesso, vissuta come momento cruciale, determinante,
definitivo. Il 18 aprile 1948 sicuramente lo è stato, per come ha poi orientato la politica e le istituzioni italiane negli
anni successivi. E’ rimasta poi la tentazione nella politica e nel costume di casa nostra, di
esasperare toni e situazioni per coinvolgere, motivare, mobilitare l’elettorato. Ciò ha determinato statisticamente percentuali di votanti da record europeo e
mondiale, sensibilmente attenuatesi negli ultimi anni. Ma i toni sono rimasti
esasperatamente accesi.
La lettura di “1948” finisce poi per rinfrancare il lettore, perché si comprende che il clima da battaglia civile di quei mesi era reale, concreto,
effettivo, tra guerra fredda, minacce di nuovi conflitti mondiali, temute
invasioni dell’esercito di Tito dalla Jugoslavia, mobilitazione totale ed estrema della Chiesa
e dell’azione cattolica da una parte e della classe operaia ed ex partigiani dall’altra; si comprende che in quel momento c’erano ancora arsenali di armi nascoste e disponibili da ambo le parti; si
comprende che c’erano esigenze sovrane di assestamento geopolitico in Europa, in nome del quale
le 2 grandi potenze erano pronte a qualsiasi decisione e soluzione, anche la più cruenta. Oggi invece, per quanto si vogliano esasperare le discussioni e le
contrapposizioni, si comprende che tutto è finalizzato a puri fini elettoralistici e alla ricerca di graduali conquiste di
popolarità e di consenso monitorati dai sondaggi.
E allora ci tranquillizziamo e abbiamo modo di goderci una lettura appassionante
e circostanziata. Chi aveva già avuto modo di analizzare quel periodo attraverso altri studi e resoconti, come
ad esempio piace ricordare la “Storia della Repubblica Italiana” di Giorgio Bocca, edita da Rizzoli nel 1981, si rende conto di trovarsi di
fronte ad un’opera quasi definitiva, per la ricchezza di riscontri, documenti, rapporti,
relazioni e testimonianze, che appare imponente. Si capisce che gli autori
hanno svolto un lavoro veramente capillare e prezioso, Avagliano e Palmieri si
sono superati, complimenti a loro.
I loro libri precedenti avevano scandagliato le storie e le disavventure dei
deportati, degli internati, dei partigiani. Con questa trattazione si sono
affacciati all’età contemporanea, fotografando il momento cruciale, determinante, nel quale
prendeva forma, attraverso le prime libere elezioni del Parlamento del
dopoguerra, l’assetto istituzionale della nuova Italia sancito dalla scelta repubblicana del 2
giugno 1946.
Quel momento storico ha lasciato dei segni, delle cicatrici nel nostro Paese, di
cui è rimasta traccia fino ai giorni nostri, ben oltre il crollo del muro e delle
grandi ideologie del secolo scorso. Delle prese di posizione, dei giudizi e dei
pregiudizi, degli avvicinamenti e dei bruschi allontanamenti di quel tempo, le
classi politiche avvicendatesi nel tempo hanno ereditato e tramandato i toni e
gli atteggiamenti più estremi. Chiedere oggi alla politica di adottare comportamenti meditati e
pacati appare un’opera improba, perché, viene da dire, siamo fatti così noi italiani (di cui la classe politica è espressione), come anche gli attuali strumenti di comunicazione, i cosiddetti “social”, dimostrano quotidianamente.
Enrico Passaro
Panorama Tirreno, maggio 2018
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