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Le vittime del Treno 8017 per Balvano
Dettagli di una carneficina mai completamente chiarita
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Patrizia Reso
Incontrare il sig. Ugo è sempre un piacere!
Ugo Gentile è un giovincello di 94 anni e parlare con lui è  un tuffo in quel passato che non conosciamo, ma che ci appartiene e ha gettato le radici del nostro presente.
Ebbi l’occasione di conoscere il sig. Ugo alcuni anni fa durante una trasmissione televisiva di Telecolore Salerno, dedicata alla tragedia di Balvano, del 3 marzo 1944. Da allora ci siamo incontrati spesso e si è rivelato essere una fonte inesauribile di notizie e di osservazioni su questa immane tragedia, che ha segnato profondamente gli animi dei familiari delle vittime e dei soccorritori, chiamati e accorsi al momento.
Ugo Gentile è uno di questi: “in servizio nella notte del 2/3 marzo 1944 presso la stazione di Baragiano” (pag. 18… Io c’ero!, Ugo Gentile, 2014), distante circa 15 km da Balvano.  Il Gentile attendeva il passaggio dell’8017 per dare il via libera al treno militare diretto a Montecassino.  Quando realizzò un ritardo inusuale, si apprestò a raggiungere Balvano con una locomotiva di soccorso, insieme ad altri colleghi.
Ancora oggi Ugo ha nitide quelle immagini nella mente. Le modalità dei soccorsi e la superficialità dei responsabili della linea ferroviaria, che avevano solo premura di rendere al più presto di nuovo fruibile. Ugo Gentile ebbe l’ingrato compito di contare le vittime.
Poneva intorno ad ogni collo un cartellino con un numero: 626 è il numero che si è inchiodato  nella sua mente. E resta un numero incerto, poiché non comprende i corpi maciullati dalla manovra di retromarcia della locomotiva, i 16 corpi raccolti sotto la galleria, i feriti, chi più grave chi meno, chi sopravvissuto chi no. I feriti ricoverati presso l’ospedale di Potenza furono 96. Il totale di passeggeri sull’8017 ipotizzabile è impressionante!
La prima ricostruzione che si ebbe della tragedia la dobbiamo a Mario Restaino, nel suo “Un treno, un’epoca: storia dell’8017”, la cui prima edizione risale al 1994. Il libro è frutto della consultazione dei documenti presso l’Archivio di Stato di Potenza. La necessità di registrare il pagamento di operai assunti poi per la rimozione e il seppellimento dei cadaveri, la responsabilità di dover dare spiegazione dei vari capitoli di spesa, ha permesso che questa tragedia potesse riemergere col tempo. Tra le carte conservate nella cartella “Balvano disastro ferroviario. Seppellimento cadaveri” (pag. 89, Un treno, un’epoca: storia dell’8017, Restaino, 1994), sono rinvenibili anche alcuni telegrammi, tra questi quello del Prefetto inviato al Ministro dell’Interno, in cui si chiede il finanziamento per l’inumazione di oltre 500 cadaveri, ma la cifra, battuta a macchina, è stata modificata: sono stati posti due zeri a penna sulle cifre 2 e 1, per cui si è arrotondato per difetto.
Sempre Restaino ha pubblicato il primo elenco delle vittime, tratto dal Registro degli atti di morte del 1944. “L’elenco contiene nome e cognome di 235 persone. Successivamente è stato ampliato” (pag. 101 Restaino).  L’elenco, in ordine alfabetico, contiene 412 nominativi.
Tanti numeri, tante cifre diverse… In questi documenti ovviamente mai nessuna considerazione che questi numeri non sono astratti, ma si riferiscono a delle persone che sono rimaste vittime della più grande tragedia ferroviaria avvenuta in Europa. Come mai non è stato mai accertato l’esatto numero delle vittime? Sempre per la stessa ragione: la fretta di rimuovere tutto, sia dalla strada ferrata che dalla memoria, e perché questa tragedia è avvenuta in un periodo davvero molto particolare, quando la guerra al Sud era stata dichiarata finita, ma all’atto pratico si viveva ancora in stato di guerra e la ferrovia, già militarizzata durante il fascismo, era ora di pertinenza degli Alleati che stavano risalendo lo Stivale.
Dalla mia ricerca anagrafica, quella relativa alle vittime di Cava, risultavano inizialmente 22 vittime cavesi. Attraverso la verifica anagrafica, la consultazione del registro degli atti di morte, degli atti civili, ho appurato che le vittime sono 35. La medesima verifica è stata fatta anche presso il comune di Vietri, per opera di alcuni studiosi locali, ed anche lì il numero è lievitato: da 11 che risultavano inizialmente si è arrivati a 19. Molto probabilmente se si verificasse in ogni comune, coinvolto in questa tragedia e ricordiamo che sono 60, avverrebbe la stessa cosa.
Erano tempi tristi, molto tristi. La precarietà, la promiscuità, l’arte della sopravvivenza, la mancanza di mezzi  erano all’ordine quotidiano. Non c’era tempo per la morte, che si respirava quotidianamente, quindi prevalse la superficialità e le direttive degli Alleati, che arrivarono addirittura a pensare di utilizzare il lanciafiamme sui cadaveri, di fronte all’immensa inumazione necessaria. Alla fine prevalse il buonsenso, l’umanità, del popolo e del prelato di Balvano: si decise di seppellirli in fosse comuni.
Sempre Restaino dà un’illustrazione molto dettagliata di queste fosse, larghezza e lunghezza comprese, esclusa la profondità, come rileva giustamente Ugo Gentile. I cadaveri furono dapprima “accantonate” sul piazzale della stazione, quindi “ gettati” e non adagiati come da disposizione, in queste fosse. “Chi ne ebbe la possibilità venne a riprendersi il suo caro, come avvenne per il prof. Iura, utente quotidiano delle ferrovie e molto noto ai dipendenti, i quali provvidero a portarlo presso la stazione successiva con un carrello, per restituirlo ai familiari.”.
Tutte le modalità di intervento su questa tragedia ricordano esattamente le modalità belliche, dove prevale la ragione di stato e, in un paese come l’Italia, dove il culto dei morti ha permesso di dare dignità di morte anche ad un criminale di guerra come Priebke, le nostre vittime si trasformano automaticamente in vittime di guerra mai riconosciute.

Panorama Tirreno, 18 aprile 2017