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Cento anni di Cavese
Visti da me, poco più della metà
“Spettatrici e spettatori, a voi tutti buon pomeriggio”, così iniziavo, a microfono acceso, tutte le domeniche nel presentare la partita del “Simonetta Lamberti”: quanti anni sono trascorsi da quel passaggio di testimone con Eligio Saturnino che si affidava alla mia voce per declamare l’undici biancoblu che scendeva in campo, sottolineato dagli “olè” dei tifosi? Quaranta, cinquanta, non ricordo, perché tra l’altro si sovrappongono tante immagini davanti agli occhi, che mi sembra di
rivivere come un film.
Mi sovviene la prima radiocronaca per Radio Metelliana, un Cavese-Lavello, con un telefono che funzionava con una prolunga di decine
di metri, grazie a due amici che lavoravano nella Telecom, l’unica, allora, società di telefonia. Accanto a me Pino Foscari. La Cavese segna, prendo la cornetta ed urlo a squarciagola. Eravamo felici per
aver diffuso nell’aere, anche a centinaia di chilometri, la gioia per il gol.
D’improvviso salta l’immagine che mi riporta più dietro, ad un calciatore della squadra metelliana, Valerio Franchini, originario del Nord ma trapiantato per tanti motivi, non solo calcistici,
nella nostra città. Lo rivedo con indosso la casacca della Nazionale Italiana dilettanti, mentre
assisto alla partita contro Malta, allo stadio di Corso Mazzini: un quattro a
zero, con la registrazione video mandata in onda nel TG Sport. Per la prima
volta vedevamo il manto erboso dell’impianto-gioiellino sul canale televisivo nazionale.
D’incanto mi sovviene un altro momento topico della storia blufonsè, Cavese-Latina, un cross proveniente dal settore destro dell’attacco Cavese, a centro area si inarca come un acrobata un centravanti, tra i
più tecnici, tra i più prolifici, tra i più meritevoli di plauso, tal Gabriele Messina, che con la sua rovesciata calamitó applausi da spellarsi le mani per minuti e minuti.
Nel mentre riavvolgo un nastro interminabile di decine di anni addietro, non
posso tralasciare un particolare: il fondatore della società calcistica Cavese è stato il rag. Pietro Punzi, nonno di mia moglie Paola, e mi sento onorato di aver perpetuato con speakeraggio (sarà un termine accettato dalla lingua italiana?), telecronache, radiocronache,
articoli; ed il cuore non ha mai cessato di difenderla, sostenerla, amarla.
Ritornando al passato più recente, come dimenticare la semifinale dei play off, la partita di ritorno
contro il Foggia, partendo dall’1-4 dello Zaccheria, e tutti disperavano: tutti, ma ripeto tutti, avevano
portato allo stadio il fischietto, nella speranza di sovvertire un risultato
ormai compromesso, incitando la squadra già nella fase di riscaldamento, con lo speaker che non smetteva di ripetere gli
incoraggiamenti, di incitare atleti ed allenatore: si arriva sul 3-0. “E’ fatta”!
Tarantino fa toccare il cielo con un dito, in tribuna stampa c’è chi urla al miracolo, Mario Pannullo è a terra travolto da me che lo sommergo di abbracci, ma arriverà l’amarezza, passando attraverso l’errore marchiano di Ercolano e il diagonale di Mastronunzio che ci condannerà all’eliminazione. Una sofferenza che si confonde tra lacrime, disperazione e una
Cavese che cadrà di lì a poco in un buio, che solo dall’anno scorso ha fatto trapelare un po’ di chiarore.
Eppure non possiamo dimenticare le belle pagine di Cavese-Milan, di Cavese-Lazio, di calciatori che hanno regalato momenti di bel calcio, di bel gioco, di gare
che ci hanno fatto soffrire e gioire, insomma di Cava che godeva e faceva
parlare di sé in tutto lo stivale, perfino il mitico Gianni Brera e il serafico Paolo Valenti che definirono la nostra squadra, la Real Cavese. Che soddisfazione!
E tra gli atleti che hanno lasciato tracce nei cuori di chi ha tifato Cavese, non è peccato citare Alfonso Scarano, un peperino che anticipava le meraviglie di Paolo Rossi: vedeva la porta e
segnava gol a grappoli come pochi: bravo tecnicamente e furbo come nessun
altro. E i portieri? Cafaro, Salvatici, Vannoli? Il primo, un funambolo, il secondo si arrampicava come una scimmia, il terzo
serio e concreto, caratteristiche anomale per un estremo difensore.
Inutile sottolineare che un pezzo di storia lo ha tracciato il mai dimenticato Raffaele Senatore che in tanti di noi, giornalisti o pubblicisti che dir si voglia, ha trasmesso
la voglia di scrivere, di parlare, di trattare la Cavese come un pezzo della
nostra vita. Ci auguriamo che il figlio Mauro, ancora corrispondente da Cava per la rosa, coadiuvato dagli eredi del
celebrato decano Angelo Canora, e dal prof. De Caro, con il figlio Andrea, possano dare seguito al libro che troneggia nelle biblioteche di ogni cavese
doc, e che riporta al presente ogni passo della gloriosa Cavese.
Vorremmo infine salutare da queste colonne chi non indossa più la casacca biancoblu, chi non è sulla panca a dare ordini alla squadra, a chi non è più dietro la scrivania ad alimentare le ricchezze della società, chi non è a tifare i biancoblu, ma ormai si fanno compagnia sventolando nel cielo, che
non vediamo ancora, quel vessillo che tanto ha significato per noi tifosi, ma
soprattutto per noi che portiamo nel cuore l’orgoglio di essere nati e vissuti in questa città.
Panorama Tirreno, 27 maggio 2019
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