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Professione cerimoniere
L’uomo che passa la vita
a mettere a posto i potenti

Enrico Passaro
Non facciamo cerimonie!
A spasso nelle vicende del protocollo di Stato
Editoriale Scientifica - Napoli
Giugno 2020 - Euro 16,00


Tiziana Balsamo *
Grace under pressure. L’espressione indica la capacità di mantenere la compostezza, il garbo e la gentilezza verso gli altri anche in situazioni di difficoltà. Non me ne vorrà Vittorio Feltri che poco tollera gli anglicismi, ma non ho trovato un equivalente italiano tanto sintetico ed efficace per introdurre un cerimoniere. Enrico Passaro, classe ’58, di Cava dè Tirreni, è il Responsabile dell’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze e autore di “Non facciamo cerimonie!” (Editoriale Scientifica).
“Non un manuale”, precisa, “c’è già l’ottimo eloquio di Massimo Sgrelli”. Ma lui, sul tema, potrebbe scrivere un trattato, altroché. Ha vissuto sei presidenti del Consiglio e una miriadi di Capi di Stato e di Governo di tutto il mondo ma con ciò non tradisce la sua modestia “sono convinto che nei fatti della diplomazia, della comunicazione, del protocollo di Stato ci vorrebbe un po’ più di leggerezza e di umiltà. Come in tutti i fatti della vita”. Quella di chi è “molto attento alle esigenze dell’Amministrazione e meno alle aspirazioni personali”, scrive proprio Sgrelli parlando dell’autore nella prefazione al libro.
Questione di etichetta? Direi di stile, “la giusta maniera di fare”, asseriva Hemingway. «È un lavoro di responsabilità, stressante, a volte sbeffeggiato, ma tra i più belli del mondo, al netto delle ansie, della fatica e delle preoccupazioni. Un viaggio nella storia, andata e ritorno». Così l’autore parla a Libero della professione del cerimonialista, colui che cura gli aspetti legati alla vita di relazione delle cariche pubbliche nel confronto con l’esterno tramite un linguaggio codificato, fatto di simboli, formule, azioni, segni, protocolli. Che si tratti di una festività nazionale, una visita di rappresentanza, una commemorazione.
Episodi rammentati nel libro con uno stile narrativo cortese e asciutto. Attraverso una sequenza di dettagli che stimolano la fantasia anche sul non detto, che affiora da una combinazione di sensazioni e emozioni che arrivano dritte alla vista parandosi dinanzi come immagini,
Passaro ci parla di regole, di forme, di riti e cerimonie. E di valori: il significato del tricolore, quello del rispetto, un eterno sconosciuto, e del senso di appartenenza ad una nazione, che non è intonare un inno a squarciagola sul balcone. È un racconto puntuale, a tratti ironico, che descrive la sostanza delle formalità pubbliche. Pagine di vita, al di qua e al di là di Palazzo, impreziosite da riferimenti storici e aneddoti. Non si legge solo di regole e di buone e giuste maniere, ma di etica ed etichetta, di gesti e gesta, di miti e simboli, della loro logica e della loro storia.
Tra accadimenti e riflessioni il cerimoniere chiarisce, a volte emozionandosi e delle altre indignandosi, come funziona il protocollo. E lo fa senza pretese nozionistiche tuffandosi nel passato per riemergere nella più cogente attualità. «Rimarrà nel cuore e nelle orecchie di chi scrive», racconta, «il ricordo di una bambina (figlia di un soldato morto) che nel vedere una serie di bare calate dall’aereo e portate dalla scorta d’onore, indicandone una urlò “papà papà!». Poi ci sono i riti, il passaggio della campanella, ad esempio, il momento in cui, dal 1996, il Presidente del Consiglio uscente la passa di mano a quello entrante. Nel 2019, però, un “fuori protocollo”: Giuseppe Conte succede a se stesso facendosi passare il sonaglio da una mano all’altra.
Poi le regole perché nessuno si offenda. Per il “piazzamento” degli invitati in una tribuna, una platea, un tavolo, ad esempio, c’è un DPCM apposito. Mai accada che qualcuno esclami “lei non sa chi sono io”.
E ancora gli incontri “che restano nel cuore, nella mente, nelle membra” come con Liliana Segre, e quelli voluti e temuti con la stampa, croce e delizia di parecchi.
E il covid. Passaro vanta anche questo nel suo curriculum: è l’unico cerimoniere della storia ad aver vissuto e gestito una pandemia. “Eravamo alla correzione delle bozze” racconta,  “quando il mondo e la vita degli uomini sono cambiati all’improvviso per una delle più gravi crisi dell’Umanità dal dopoguerra”. Che, senza fare cerimonie, ha scritto e riscritto regole, protocolli e, ahinoi, DPCM. Per tutti, nessuno escluso. Dai Capi di Stato alla gente comune, la stessa a cui il libro è dedicato.
Ha ragione l’autore a dire che il suo non è un manuale per addetti ai lavori. E’ un saggio sull’educazione, da leggere e far leggere a tutti perché, suggerirebbe Sgrelli, “di solo tre persone dobbiamo seguire veramente le indicazioni: il medico, il confessore, il cerimoniere”.

* Pubblicato su Libero del 10 luglio 2020

Panorama Tirreno, agosto 2020