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2005-2006
7 novembre 82 - La Cavese al “Meazza”
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Cavese, passione infinita
Pezzetti di memoria biancoblu
Enrico Passaro
I miei ricordi aquilotti partono da mio padre. Io piccolino, mi parlava dell’ex campo Palmentieri, il cui spazio si intravedeva al di là di un vecchio cancello posto a metà del vicolo del Purgatorio che dal corso Umberto di lato alla chiesa, senza interruzioni, giungeva fino a via Giuseppe Pellegrino, dove abitavamo. Poi quel vicolo fu tagliato in due e il luogo fu attraversato da via XXIV Maggio, che dalla Biblioteca Avallone giunge fino a piazza San Francesco. Ci passavo ogni mattina recandomi alle scuole elementari e gettavo un occhio oltre quelle sbarre, pensando agli eroi calcistici degli anni dal 1939 in poi.
Mi parlava di Marcantonio Ferro, presidente della Cavese all’inizio degli anni 50, e di Pio Accarino che era dirigente della squadra. Mi parlava del campo sportivo di viale Mazzini prima che diventasse il bello stadio inaugurato nel gennaio del 1969 (a proposito, il “Simonetta Lamberti” ha anch’esso il suo speciale anniversario: ha compiuto 50 anni), che si sviluppava in lunghezza da est ad ovest, mentre oggi ha le due porte collocate a nord e sud. Mi parlava dello sfortunato capitano Bruno Mazzotta, cavese, che scomparve nel 1951 all’età di 26 anni a seguito di un incidente di gioco, pare per un colpo alla testa che gli provocò nei giorni successivi una fatale emorragia celebrale. Mi parlava dell’allenatore Antonio Nonis (quello che non era più andato via da Cava e aveva ancora un bar in centro città), friulano e già calciatore di serie B nel Prato e nella Salernitana di Gipo Viani. Mi parlava ancora del giovane Rino Santin calciatore, insieme a Stornaiuolo e Willicich, che erano anche suoi amici. Mi parlava soprattutto di Virgilio Felice Levratto, centravanti di sfondamento e allenatore degli Aquilotti negli anni di inizio guerra (1939-1942) dopo aver militato in grandi squadre di serie A e in Nazionale. Sfondamento nel vero senso della parola: il suo tiro potentissimo era in grado di bucare le reti. Brillavano gli occhi a mio padre nel raccontare gli aneddoti che circolavano su Levratto. Come quella volta in cui, in un incontro degli Azzurri, un suo tiro tramortì il portiere del Lussemburgo che aveva osato opporsi col suo corpo a quella vera e propria bomba diretta verso la porta. Svenne il povero portiere e ci mise un po’ per riprendersi. In un’azione successiva si ritrovò di nuovo di fronte il bomber della Nazionale e pensò bene di scappare via per evitare ulteriori danni personali. Mio padre raccontava che Levratto a quella scena scoppiò a ridere e indirizzò il pallone sul fondo rinunciando a segnare. E rideva anche mio padre nel raccontare l’accaduto, rideva a lacrime.
Era un gran tifoso il mio Mimmo (mio padre, appunto). Ma non ho mai capito e non mi ha mai raccontato, per quale motivo a un certo punto ha smesso di seguire direttamente la Cavese. Sì, continuava a chiedere, a informarsi, a gioire ad ogni vittoria, ma allo stadio non ha più messo piede. Mia madre diceva che da giovane aveva seguito la squadra anche in trasferta, ma probabilmente ha rinunciato agli spalti dopo qualcuno dei frequenti incidenti che già all’epoca avvenivano fra le tifoserie. Mio padre ammiccava ma non confermava esplicitamente. Rimarrà il mistero.
Poi, dal 1970 iniziano i miei ricordi diretti della Cavese. Ho iniziato in serie D con Pasinato allenatore, grazie a un mio zio che ebbe la felice idea di regalare a me e a mio fratello un’abbonamento ragazzi per la tribuna coperta. Niente male! Andammo felici a ritirare il carnet di biglietti dell’abbonamento presso la vecchia sede della Polisportiva Cavese in via Sorrentino. E da quel momento, essendo già andato via l’ottimo Franchini,  i nostri eroi diventarono il portiere Salvatici, Cesaratto, Galluzzi, Ferraro, La Saponara, Varglien, Scotti, Spolaore e l’agile e astuto centravanti Scarano. Poi arrivarono Minto, Devastato, Pucci, Gregorio, Orrico, Ottieri, Peviani. Beppe Peviani: che dispiacere la sua scomparsa lo scorso anno. Ottimo centravanti a quel tempo, è rimasto poi legatissimo alla nostra città,ed era bello rivederlo puntualmente sotto i portici anche a distanza di anni, sempre in forma, sempre giovanile, sempre col suo meraviglioso sorriso. Un saluto particolare va a lui.
Di quei primi anni di noviziato come tifoso biancoblu, ricordo un particolare simpatico e divertente. Come detto, cominciai col frequentare la tribuna. Era diverso lo stile dei tifosi della gradinata coperta da quello dei distinti. I più accesi sostenitori del settore assolato sopra gli spogliatoi facevano un tifo bello e infernale. Pacato e quasi anglosassone quello della tribuna, generalmente poco chiassoso. Ricordo due personaggi indivisibili, distinti signori di mezza età placidamente seduti in tribuna. Nel quasi silenzioso clima di chi assisteva alle partite dall’alto del settore coperto, di tanto in tanto uno dei due gridava compostamente: «Arbitro, sei un cornuto!» E l’altro: «E’ vero!»
Che coppia meravigliosa! Che stile, che signorilità! Non ho mai saputo i loro nomi, ma ne serbo la memoria.
Altro ricordo indelebile è legato a uno striscione: “Venceremos”. Nei pomeriggi in cui i compiti a casa ce lo consentivano, con l’amico Massimo De Sio andavamo allo stadio in bicicletta ad assistere agli allenamenti. Poco prima di arrivare ci fermavamo a casa della nonna di Antonio Polacco, dove il nostro artista ancora in erba realizzava striscioni e bandiere con l’aquilotto impresso sopra. Quel “Venceremos”, enorme, lungo, visibilissimo, fu il suo capolavoro di quegli anni, che conquistò il posto d’onore nella curva e in molti altri stadi delle infuocate trasferte. Se per caso esistesse ancora oggi, meriterebbe quantomeno una medaglia al valor civile. Forse sto esagerando.
Ancora un flash: per anni il tifoso cavese ha ritenuto di essere bistrattato dagli arbitri che calcavano il prato del Comunale che poi divenne “Simonetta Lamberti”. Il tifoso, si sa, non è obiettivo, ma in quel convincimento c’era forse un fondo di verità. Il ragionamento era il seguente: il nostro giovane stadio era ed è tuttora ampio, aperto, in erba, ben drenato, con la pista intorno, il secondo stadio della Campania dopo il San Paolo per molti anni. Niente a che vedere con gli infernali campetti della categoria, in terra battuta, col pubblico vicinissimo alle linee di demarcazione e attaccato alle reti di recinzione. Qui gli arbitri si sentivano in serie A e il fattore campo, inteso come fattore intimidazione, non contava molto. Di qui i sospetti di persecuzione da parte dei tifosi. Dopo qualche reazione più o meno violenta che provocò frequenti squalifiche di campo, fu deciso di comune accordo da parte della tifoseria di adottare il metodo ironico. Ad ogni errore arbitrale, anziché minacce, contestazioni, lanci d’oggetti, invasioni di campo e tutto l’armamentario folle di stile ultras,  da tutti i settori dello stadio partivano applausi canzonatori nei suoi confronti. Pare che arbitri e guardalinee si irritassero molto a quegli sfottò. La scelta era originale, non violenta e di un certo stile, ma proprio in quanto tale, non durò a lungo, lo spazio di un mezzo campionato, poi si tornò alle rozze reazioni di sempre, che caratterizzano gli stadi di ogni parte d’Italia.
Ma torniamo alla Cavese, con l’arrivo nel 1976 di Ramon Lojacono come allenatore. Il campione argentino conquistò la città e riportò gli Aquilotti in C dopo 34 anni. Ramon frequentava la casa di Virno, dirigente della società, nello stesso edificio dove abitavo anch’io ai Pianesi e lo vedevo spesso. Quel simpatico uomo, guidò a meraviglia i suo uomini finché in un caldo pomeriggio di maggio nell’ultima di campionato si assicurò la vittoria per 2-1 contro il Martinafranca, dinanzi a 20.000 spettatori, con reti di Gardini e Corsi. Che feste, che gioia, dentro e fuori lo stadio in quei giorni!
L’anno successivo una nuova promozione. La categoria veniva riformata e le prime 12 del campionato di C, confluivano nella nuova C1. Con Braca, Belotti, Burla, Jose Cafaro, Moscon e soprattutto con mister Corrado Viciani si fece il secondo miracolo. Poi negli anni successivi arrivò il cannoniere Messina, poi ancora De Tommasi, Polenta, Longo, Truddaiu, Della Bianchina, Pidone, il figlio del mister Enrico.
Corrado Viciani realizzò una base di tattica, tecnica e professionalità su cui Rino Santin allenatore trovò terreno fertile su cui lavorare e arrivarono gli anni 80. Da qui in poi è inutile rinverdire i ricordi, perché la serie B, la vittoria a San Siro, i pareggi a Bologna e all’Olimpico con la Lazio, tutti gli eroi di quell’indimenticabile triennio, non sono ricordi, sopravvivono in una contemporaneità al di fuori del tempo e dello spazio, in una realtà parallela che ogni cavese continua a portare dentro.
Non fu tutta gloria e onore la storia centenaria della squadra di calcio di Cava de’ Tirreni. Nel tempo si sono susseguiti anche e troppo spesso, cadute, retrocessioni, mancate promozioni, illeciti sportivi, penalizzazioni, fallimenti, affannosi salvataggi, ripartenze dagli inferi, perdita di titoli. Quel nome Cavese è stato frequentemente accompagnato da appellativi come “Pro”, “Intrepida”, “U.S.D.”.
L’aquilotto di Palazzo Coppola ha continuato a volare attraverso tutti i momenti di gravi difficoltà che hanno attraversato la sua storia, fino all’ultimo “Cavese 1919”. Continuerà a volare, in un ambiente sempre più difficile e complicato, sempre più imprenditoriale e sempre più affaristico.
Perché le aquile volano alte.

Panorama Tirreno, giugno 2019