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editoriale
Città senza leadership
Enrico Passaro
Le riflessioni contenute in questo editoriale sono espressione di un disagio e di un diffuso senso di amarezza, sensazioni tutte riferite alla mia città, a questa Cava de’ Tirreni divenuta incapace di un guizzo di orgoglio che le possa ridare la dignità che le competerebbe.
Si sta avviando stancamente la città metelliana alle elezioni di maggio per il rinnovo del consiglio comunale. E’ una stanchezza che in verità stride con l’attivismo dei partiti e dei candidati.
Ad oggi, undici pretendenti alla poltrona di sindaco, che potrebbero diventare 9 o forse 13, chissà. Si direbbe: com’è viva questa città, che fervore di iniziative, che passione politica! Qualcuno addirittura rilancia la vecchia favola del laboratorio politico nazionale: Cava che sarebbe avanguardia del rinnovamento dell’Italia.
Stiamo calmi! Perdonate la disillusione, ma non vedo niente di così strabiliante e innovativo nell’affollato panorama delle candidature. Anzi, ad essere del tutto sinceri, l’impressione che si ricava dal gioco bizzarro delle alleanze e delle contrapposizioni, dall’affannosa ricerca di visibilità e dallo sterile e insulso dibattito, è che questa città abbia davvero ben poco da esprimere sul piano della progettualità.
Undici candidati undici, e finora non una sola parola in grado di stimolare la fantasia, le ambizioni, l’orgoglio, le speranze. Forse è troppo presto? No, non credo. Se qualcuno avesse avuto un progettino di città da proporre lo avrebbe già fatto, se non altro per distinguersi ed affrancarsi dagli altri.
Al piattume di oggi farà seguito nelle ultime settimane di campagna elettorale la lotta al rialzo, con fior di promesse da parte dei più spregiudicati che faranno a gara su chi la spara più grossa.
Sentiremo parlare di: rapido completamento di tutte le opere pubbliche, sicuro annullamento dei provvedimenti di abbattimento delle case abusive, prepotente rilancio della vocazione turistica (in che modo? Boh!), ma anche prepotente rilancio della vocazione commerciale, agricola, artigianale, industriale, marinara; e poi nuovo stadio, teatro comunale da 50 mila posti così ogni cittadino avrà la sua poltroncina, nuovo ospedale con 50 mila posti letto (per gli stessi motivi del teatro), galleria sotto Monte Finestra per collegarsi con la Costiera, un casinò per il gioco d’azzardo modello Las Vegas, consistente abbattimento di tutte le tasse comunali, nuovi concorsi per tutti, 10 facoltà universitarie, arena-scacchiera-sala da ballo-rifugio antiatomico in Piazza Abbro, disfida dei trombonieri in sostituzione della parata del 2 giugno e, forse, il mare all’altezza della Tengana.
Ora vi chiedo: che abbiamo fatto di male per meritare tutto questo? Qual è la maledizione abbattutasi su questa città che ci impedisce da diversi anni di progettare un degno e realistico futuro.
Cava, città orgogliosa e ambiziosa, è finita col non coltivare più ambizioni, col vivacchiare come una qualsiasi periferia metropolitana. Da quando si sono polverizzati o ridimensionati i grossi volani di occupazione e sviluppo del secolo scorso (Credito Commerciale Tirreno, Di Mauro, Manifattura Tabacchi, Tirrena, grandi imprese ceramiche, Metelliana) nessuno è riuscito a trovare più il bandolo della matassa, non un solo cantiere completato per tempo, o un edificio pubblico in disuso che abbia trovato una nuova adeguata destinazione, o una vera efficace attività di sostegno dell’economia, o una iniziativa di promozione nazionale e internazionale (basterebbe anche solo regionale), un progetto di eccellenza, che sia esso culturale, economico o sportivo.
Non c’è un solo cavese in grado di realizzare privatamente qualcosa del genere senza dover pensare di emigrare? Non c’è una sola donna o un uomo che possa assumere la guida politico-amministrativa della città riuscendo a sistemare il caos burocratico, a coordinare e incentivare i settori produttivi, a ridare un’immagine di trasparenza e imparzialità, a stimolare e pianificare qualche serio progetto culturale, ad assecondare la vitalità e l’iniziativa dei cittadini più volenterosi e impegnati, a curarsi delle aspettative e delle ambizioni dei più giovani, a lanciare nuove sfide verso il futuro?
Ognuno di noi, senza scoraggiarsi, faccia il tentativo di cercare queste caratteristiche sui futuri definitivi candidati a sindaco, sulle future definitive coalizioni politiche che li sosterranno. Le troverà? La storia recente di questa città rischia di indurci al pessimismo.
* * *
L’esempio emblematico della mancanza di vocazioni, non spirituali ma manageriali, imprenditoriali, politiche, è dato dalla perenne crisi della sua principale squadra di calcio, che anche quest’anno, anche in questi giorni, sta rischiando il suo ennesimo fallimento. Ogni volta arrivano da altrove imprenditori “salvatori della patria” che giurano di riportare agli antichi fasti il calcio a Cava fra l’entusiasmo popolare.
Poi, fra errori, atti di arroganza, approssimazione e malafede, scappano via lasciando mari di debiti, calciatori allo sbando e tifosi disperati. Quando la Cavese tornerà ad essere dei cavesi? Le cose migliori nella storia degli aquilotti sono state fatte con un management cittadino. Ma ci sono oggi dei concittadini in grado, con la voglia e la stabilità economica per poter assumersi l’onere e l’onore di una conduzione societaria?
Eppure quest’anno una squadra realizzata ad agosto e partita con un -5 in classifica, è in corsa, può lottare per i play-off e ha dato finora molte soddisfazioni. Ma non c’è più una guida, una direzione, un progetto.
Cavese come metafora della sua città, nel calcio come in politica.

Panorama Tirreno, marzo 2015