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Gravagnuolo, atto di accusa e autocritica
L’ex sindaco ha affidato a Facebook la sua disanima della sconfitta
Luigi Gravagnuolo
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Il 13 aprile, due settimane dopo la sconfitta elettorale, Luigi Gravagnuolo ha pubblicato su Facebook la sua personale disamina di quanto è accaduto nelle urne, con un lungo documento dal titolo: “A quanti hanno creduto nella Città di Qualità ed hanno combattuto per cambiare Cava”.
Si tratta di un testo dai contenuti aspri nei confronti dei suoi concittadini, e in particolare di alcuni di essi che l’ex sindaco  addita esplicitamente, ed anche nei confronti della sua ex maggioranza e di alcuni esponenti del suo stesso partito.
Questi alcuni brani del documento.

“Mi assumo tutte le responsabilità del disastroso risultato elettorale di Cava de’ Tirreni e chiedo scusa a quanti avevano con me creduto possibile un cambiamento profondo della nostra città, esponendosi nella battaglia elettorale” (…)  
“Fui eletto nel 2006 grazie alla perdita totale di credibilità della classe politica cavese del Centro Destra, che si univa ad un momentaneo appannamento della popolarità di Berlusconi (era stato appena sconfitto, sia pure di poco, da Prodi alle politiche); ma anche per aver suscitato in città speranze radicali di cambiamento. Dico subito che l’errore principale è stato di aver preso quelle aspettative troppo sul serio. Cava non voleva e non vuole cambiare, se non di mera facciata” (…).
“Avevamo in quel momento il Governo, la Regione e la Provincia tutti al Centro Sinistra. Che volevi più dalla vita? Semplicemente un minimo di attenzione. Invece orecchie sorde dal Governo, ostilità dalla Regione, attenzione della Presidenza della Provincia solo a costruirsi una sua base personale a Cava, e – dulcis in fundo – guerra aperta da parte di una componente dei DS prima, poi del PD, molto vicina alla Presidenza della Regione, contro la mia amministrazione. Ho tirato avanti, conseguendo i primi visibili risultati. Malgrado la montagna di ostacoli, Cava cominciava a cambiare in meglio, i consensi crescevano e, con essi, la mia forza nei confronti degli interlocutori politici, istituzionali e sociali. Il circolo virtuoso si era innescato. Ma ecco che cade Prodi, l’UDEUR passa a Destra, i demitiani idem dopo qualche settimana, aumentano le fibrillazioni a Cava. Cerco immediatamente un contatto istituzionale diretto col neo Governo Berlusconi, ottenendolo. Ma la Destra cavese - in cui cominciava ad emergere la leadership di Cirielli - appena ne viene a conoscenza, scatena il putiferio contro i Ministri che mi avevano ricevuto, imponendo loro l’ostracismo nei miei confronti (mi riferisco all’11 ottobre 2008, apertura delle celebrazioni del Millenario al Cinema Alambra). Reagisco con energia – ancora una volta non aiutato né dalla Regione, né dalla Provincia – la città tuttavia mi segue e riesco a governare la situazione. Nel frattempo la magistratura mi aveva sollecitato con forza a procedere a cinque abbattimenti di case abusive già da anni acquisite al patrimonio comunale e per le quali ogni cavillo giuridico si era consumato. Ne avevamo parlato in Giunta e deciso di tenere una conferenza stampa congiunta per spiegare le ragioni degli abbattimenti; riunimmo anche la maggioranza. Tutti d’accordo, andiamo avanti. E procedemmo. Fu l’inizio della fine dell’idillio con la città. E con la maggioranza al Comune” (…)  
“Torniamo ad inizio 2009. La Regione ha appena licenziato la legge 16/08 sul riassetto del sistema ospedaliero. All’Ospedale di Cava, grazie alla mia azione, è andata di lusso. Ed ecco che, inopinatamente, partono a Cava una campagna di stampa ed una mobilitazione dei partiti di destra e di una componente interna al PD, con l’aggiunta dei demitiani (anime belle della sanità …) contro una mia presunta, irreale inerzia nella difesa del nosocomio di Cava. Nessuno tra coloro che avevano seguito passo passo la mia azione in difesa dell’Ospedale di Cava parlava. Dopo un mese e mezzo di pubblico linciaggio sopportato nella più totale solitudine, sbottai pubblicamente contro questa ignavia. Lo feci in maniera aspra, non c’è dubbio. E fu la rottura con la classe medica, tenuta sotto ricatto permanente dai demitiani”. Subito dopo si svolgono le elezioni provinciali. La Destra a Cava le imposta solo contro di me (“Votateci e vi promettiamo che manderemo a casa Gravagnuolo”). Organizza e mobilita gli abusivi. Con l’UDC di De Mita, la classe medica va a destra. La sinistra non riesce a reagire. Risultato: il 56% alla Destra ed il 43% al Centro Sinistra a Cava. La mia maggioranza è sempre più in fibrillazione” (…)
“Peraltro il monaco sanfedista, che ha trasformato il santuario di Sant’Antonio e San Francesco in un suk, esuberante oltre ogni limite, diventa incontenibile: mette a soqquadro una intera città, scampanii permanenti, fuochi di artificio, processioni, altoparlanti stile muezzin. Parte dei cittadini mi chiede di mettergli un freno. Gli parlo senza ricavarne niente. Emano un’ordinanza sulla quiete pubblica e la faccio applicare impedendogli degli spari di fuochi non autorizzati. E’ l’inizio di un altro scontro biblico. Il monaco nelle omelie mi apostrofa, dichiara sui giornali che si vuole candidare a sindaco contro di me. La Destra lo segue e lo istiga. Intanto il neo presidente della Provincia, comincia la campagna acquisti tra i consiglieri di maggioranza, riuscendo a garantirsi la promessa del passaggio nelle sue fila di un paio di loro in cambio di quelle prebende che io non ero stato in grado di garantire loro” (…)
“Avrei potuto reggere e procedere ad ulteriori abbattimenti in quelle condizioni, con quel Consiglio Comunale, con quella debolezza politica? Avrei potuto continuare a portare avanti il programma, con il Governo contro, la Provincia contro, e nella prospettiva certa dell’imminente passaggio anche della Regione al CD? Peraltro si sarebbe votato dopo solo un anno (nel 2011), un anno in cui la città sarebbe stata costretta ad una campagna elettorale estenuante. E’ evidente che avrei potuto reggere in questo contesto ostile, solo passando per una immediata verifica elettorale; rischiosa, ma inevitabile” (…)
“Perché abbiamo perso? (…) Innanzitutto per aver contrastato l’abusivismo edilizio (…) Il secondo motivo della sconfitta è stato la rottura con la classe medica (…) Un terzo motivo sta nella mia rigidità nell’amministrare, evitando le clientele ed il consociativismo lottizzatorio, esigendo efficienza ed efficacia dai dipendenti comunali (…) Ma il motivo di fondo della sconfitta, a mio avviso, è lo stesso che ci costringe all’arretramento in tutta la Penisola. Si è ormai consolidato un blocco sociale il cui cardine è composto da una lumpen-borghesia aggressiva, sviluppatasi con l’economia sommersa. Ciò mentre i ceti popolari sono travolti dalla logica del “si salvi chi può”, dalla ricerca di una qualche protezione per scamparla individualmente, dalla spinta di ciascuno alla sopraffazione verso chi non ce la fa” (…)
“Non voglio celare infine le mie responsabilità, che hanno senza dubbio aggravato le dimensioni della sconfitta. Avremmo perso egualmente, ma le dimensioni della sconfitta sono dipese da miei errori. Il primo è stato senz’altro una sopravvalutazione del mio consenso personale (…) Il secondo errore è stato di aver contato troppo sul voto del Centro della Città (che pure mi ha votato per il 45%) (…) Ho osato alzare il coperchio della pentola e far sentire a tutti l’olezzo dello sterco che vi è dentro. La città non voleva questo quando mi aveva votato. Voleva il mio volto perbene a coperchio e imbellettamento della realtà. Io non lo avevo capito (…) Il terzo errore - ma qui mi ripeto - è stato di pensare che il mio dovere fosse quello di cambiare la città, non di lasciarla andare per la sua strada, magari accompagnandola con qualche iniziativa di facciata. No, ho preteso di toccare i nervi scoperti della città, e ne sono restato fulminato! In definitiva l’errore di fondo di tutta la mia esperienza è stato il giacobinismo, un tentativo velleitario di cambiare la realtà dall’alto (…) Sono stati errori gravi, commessi in buona fede, ma anche con cocciutaggine. Certo, se avessi fatto il capopopolo degli abusivi, se avessi assunto atteggiamenti pilateschi di fronte agli abbattimenti, lavandomene le mani e facendomi scorrere i problemi addosso, oppure se avessi caldeggiato ogni pacchianeria in città, sarei stato ancora sindaco. Ma era questo il mio compito?”

Panorama Tirreno, aprile 2010