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Sabato Martelli Castaldi
La furia nazista non piegò il suo coraggio
Nacque nella città metelliana e dopo un’infanzia vissuta fra
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Cava e la Costiera andò a Roma. Dopo l’attentato di via Rasella perì tra le vittime della feroce rappresaglia nazista

Mario Avagliano
Qualche anno fa l’Unità pubblicò una raccolta di “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”. Sfogliando i due volumi delle lettere, mi capitò sotto gli occhi un nome: Sabato Martelli Castaldi, nato a Cava de’ Tirreni, assassinato dai nazisti alle Fosse Ardeatine. Per la verità, prima del nome, avevo letto un suo bigliettino, inviato clandestinamente alla moglie: “Penso la sera in cui mi dettero 24 nerbate sotto la pianta dei piedi, nonché varie scudisciate in parti molli, e cazzotti di vario genere - scriveva dal carcere di via Tasso. - Io non ho dato loro la soddisfazione di un lamento, solo alla 24ª nerbata risposi con un pernacchione che fece restare i tre manigoldi come tre autentici fessi”. La sua figura mi incuriosì. Andai a ripescare un libbricino dell’avvocato Domenico Apicella, che il 2 maggio del 1960 scrisse sul “Castello” un articolo appassionato per questo giovane cavese e perché la sua città gli intitolasse una strada e gli tributasse tutti gli onori che meritava. Il sindaco di allora, Raffaele Clarizia, recepì il suggerimento. A un secolo esatto dalla sua nascita, mentre si sta celebrando il processo a Priebke, uno dei gerarchi nazisti responsabili dell’eccidio, ho rintracciato la figlia Vittoria, che vive ad Ascoli e mi ha aiutato a ricostruire la vita di questo straordinario eroe della Resistenza. Mi sembra giusto riproporre la sua storia.

Sabato Martelli Castaldi ha i suoi natali a Cava de’ Tirreni, il 19 agosto del 1896, in una calda giornata d’estate. I genitori sono Sabato Castaldi, un ricco avvocato di Salerno, e Argìa Martelli, la sua governante, originaria di Bologna, che ha perso i genitori in tenera età e ha trascorso la fanciullezza nell’orfanotrofio di Napoli. Il piccolo Martelli Castaldi cresce insieme al fratello minore Mario, respirando l’aria frizzante della nostra vallata, mirando il mare azzurro della Costiera amalfitana e scorrazzando come un puledro nella polvere del villaggio di Santi Quaranta. Qualche anno dopo la sua nascita, la madre si trasferisce in una casa a Raito, dove vivrà fino alla morte. Ancora fanciullo, il padre lo manda a Roma, al collegio San Giuseppe di Piazza di Spagna. Lì conosce Alberto e Ugo Barbiani, figli del proprietario dell’albergo Regina-Carlton di via Veneto.
Sabato è un giovane forte e prestante. Alto 1 metro e 75, occhi verdi, capelli biondi, baffetti, da buon napoletano, è brillante e spiritoso e piace alle donne. Frequentando l’albergo Regina, Martelli Castaldi fa conoscenza con la sorella dei suoi amici del cuore, Luisa, e se n’innamora.
Si fece onore nella Grande Guerra
Finito il Liceo, insieme al fratello Mario va a Torino e si iscrive alla facoltà d’ingegneria. Allo scoppio della “Grande guerra” del 1915-1918, quando gli mancano pochi esami alla laurea, si arruola come volontario. Nominato sottotenente dell’Artiglieria e del Genio, partecipa a numerose battaglie e guadagna sul fronte una medaglia di bronzo al valore militare. Passato all’Aviazione, il 24 maggio del 1918 è nominato comandante della quarta sezione autonoma S.V.A. Impegnato in più di cento voli di guerra, è decorato della medaglia d’argento. L’esercito diventa la sua seconda famiglia, e così nel 1919 va volontario in Libia. In Africa è aiutante maggiore del 22A gruppo. Poi viene nominato comandante della 90A squadriglia. Per il suo coraggio il comando dell’Aviazione gli conferisce la croce di guerra.
Appena possibile di corsa a Raito
Tornato in Italia, Sabato riabbraccia Luisa e il 12 dicembre del ‘21 la sposa. Nel settembre del ‘22 nasce la prima figlia, Vittoria. Nove mesi dopo, a marzo, nasce Giorgio. Vanno a vivere prima a via San Lorenzo in Lucina e poi in un appartamento sulla via Nomentana. Nel frattempo il giovane ufficiale trova il tempo di distinguersi nello sport: il 5 e 6 luglio del 1923 iscrive il suo nome nell’Albo d’oro del Club Canottieri “Aniene”, vincendo la gara juniores per la Coppa Juventus e la gara seniores per la Coppa Principe, con il quattro outtrigger “Aviatore”, di cui lui è il capo voga. Ogni estate, insieme alla famiglia, torna all’amata Raito, dove c’è la madre. Un’abitudine che gli rimarrà sempre. «Appena poteva, scappava a Raito», ricorda la figlia Vittoria.
La sua carriera militare è folgorante, nonostante non abbia molta simpatia per il Regime fascista. Una volta va al cinematografo. Durante la proiezione del giornale Luce, appare il duce. Tutti gli spettatori si alzano in piedi, tranne Sabato che resta seduto. Qualcuno fa la spia e la “bravata” gli costa qualche mese di carcere militare. Ma uscito dalla cella, lui che ti fa? Ordina al sarto un vestito da carcerato con sopra scritto “47”, che nella tombola napoletana vuol dire “morto che parla”… Ma Martelli Castaldi è un uomo valoroso, e soprattutto ama la sua Patria. Così nel 1927 diventa comandante del 7º gruppo autonomo di caccia e si merita un’altra medaglia di bronzo al valore. Nel ‘30 si trasferisce con la famiglia nella bella casa di via Bruxelles. Nell’autunno del 1931, ad appena 35 anni, viene promosso colonnello “per merito straordinario” e trasferito al comando del 20º stormo. Qui, al funerale di un commilitone, asso dell’Aviazione, a cui era molto legato, pare abbia “inventato” la cerimonia del minuto di silenzio, che poi ha avuto larga fortuna in tutto il mondo.
Il “minuto di silenzio” fu una sua invenzione?
Nel ‘33 Mussolini lo fa generale di brigata aerea (il più giovane in Italia). Sabato ricopre anche il prestigioso incarico di capo-gabinetto del Ministero dell’Aeronautica. Tutto sembra andare per il meglio. Ad agosto la moglie Luisa dà alla luce un altro bambino, Sabatino. E Martelli Castaldi è destinato a succedere a Italo Balbo, come ministro dell’Aeronautica. Invece l’anno dopo cade in disgrazia. Mussolini, che ha manie di grandezza, quando incontra gli altri capi di governo si vanta di avere un esercito e un’aviazione fortissimi. Non è così, ma i suoi collaboratori, che temono la sua ira, per non deluderlo durante le dimostrazioni militari fanno trasferire gli stessi aeroplani da un campo di aviazione all’altro. Il giovane Martelli Castaldi, appena trentottenne, ha il coraggio di svelare il trucco, e in un lungo rapporto, a tratti ironico, denuncia lo stato pietoso in cui si trova l’Aviazione: «Giove Pluvio permettendo e con una certa talquale benevolenza di Eolo - si legge nel rapporto - avverrà tra giorni l’attesissima ‘kolossal girandola’ di Furbara (un campo di aviazione sperimentale nei pressi di Roma)».
Fu punito dal Duce
Invece di premiarlo, il duce lo colloca a riposo senza stipendio, “per incapacità di giudizio”. Comincia il travaglio. Per poter vivere, Martelli Castaldi è costretto ad affittare la casa a un’ambasciata e a rifugiarsi in Etiopia. La persecuzione del Regime lo insegue anche in Africa Orientale, dove sta facendo rapidamente fortuna, alle dipendenze del Polverificio Stacchini. La sua colpa? Essere andato a passeggio sottobraccio con il Duca di Aosta, suo grande amico, che è mal visto da Mussolini. Forse sono proprio i dispiaceri della vita a causargli un principio di calvizie. Nel ‘35 Sabato torna in Italia, a Roma. Stacchini, per aiutarlo, lo assume come usciere della sede centrale del suo Polverificio, a via Merulana. Nel giro di un anno, nel 1936, grazie alla sua intelligenza, Martelli Castaldi diventa direttore tecnico amministrativo dell’industria e poi entra a far parte del sindacato romano dei dirigenti d’azienda.
Il 25 luglio del 1943 cade il fascismo e il nuovo capo del governo, il maresciallo Badoglio, lo chiama a collaborare. Sabato sogna di riorganizzare il ministero dell’Aeronautica e ogni giorno lavora fino a tardi a questo progetto. Ma 1’8 settembre dello stesso anno Badoglio, con un drammatico comunicato alla radio, annuncia la firma dell’armistizio e ordina all’esercito di cessare le ostilità contro gli Alleati, senza dare disposizioni precise agli ufficiali, salvo quella di “respingere eventuali attacchi di qualsiasi provenienza”. Molti gridano “La guerra è finita!”. Martelli Castaldi capisce subito che è un’illusione. «Altro che finita! - dice alla figlia Vittoria -. Questo è solo il terzo atto della tragedia». Ha ragione. Mentre il re fugge a Brindisi, l’esercito si disgrega. I soldati abbandonano le caserme, cercando di raggiungere casa prima che i tedeschi li blocchino. Da Berlino Hitler ordina ai suoi di occupare la penisola.
Si “arruolò” nelle file dei partigiani
Sono giorni terribili per l’Italia e Sabato Martelli Castaldi sceglie di nuovo di “arruolarsi” come volontario nelle file dei partigiani per liberare la patria dagli invasori nazisti. Quattro mesi di imprese eroiche, in assoluta clandestinità. Neppure la moglie e i figli sanno della sua doppia vita. Martelli Castaldi sabota la produzione del Polverificio destinata ai tedeschi e fornisce dinamite, mine, detonatori e armi al fronte clandestino di Roma e ai partigiani del Lazio e dell’Abruzzo, spesso trasportandole di persona ai loro nascondigli. Esegue e trasmette rilievi di zone e di installazioni militari al Comando Alleato. Prepara un campo di fortuna per aerei nei dintorni di Roma. Insieme all’amico generale Roberto Lordi compie pericolose missioni militari. Grazie alle sue relazioni con i comandi tedeschi, in qualità di dirigente del Polverificio, si procura salvacondotti e permessi di circolazione, li falsifica e li distribuisce a militari e civili bisognosi di aiuto.
Va avanti e indietro con un autocarro da Roma a Genzano, nascondendo i perseguitati nella tenuta di campagna di proprietà del Lordi.
Le torture patite dai tedeschi
Nei primi giorni del 1944 i tedeschi, su denuncia di un operaio del Polverificio, arrestano Stacchini, che però è totalmente all’oscuro dell’attività patriottica svolta dal suo direttore. Il 17 gennaio Martelli Castaldi e Lordi si presentano spontaneamente dai tedeschi, per sollevare da ogni responsabilità il proprietario del Polverificio, e vengono arrestati dal colonnello tedesco Kappler, venuto in possesso di prove schiaccianti sull’attività da loro svolta. Imprigionato nel carcere di via Tasso, i nazisti lo torturano barbaramente, strappandogli le unghia dalle mani e dai piedi e tenendolo per molti giorni a digiuno, per estorcergli informazioni sull’organizzazione clandestina della Resistenza romana.
Il trucco dei messaggi al limone
Tutto inutile. Rinchiuso in una camera di un 1,30 metri per 2,60, senza aria, male illuminata da una lampadina elettrica del corridoio antistante, Sabato durante i sessantasette giorni di carcere dimostra una forza d’animo e un eroismo non comune, resistendo alle sevizie dei carcerieri e tenendo su l’umore degli altri trentacinque “ospiti” con la sua verve napoletana, fatta di barzellette e “pernacchioni”. Per comunicare con la sua Luisa, Martelli Castaldi adopera un “trucco” imparato ai tempi del collegio. Si fa mandare da casa alcuni limoni e un pennino. Quando la moglie va a ritirare la gavetta vuota, gli consegna un biglietto bianco. Arrivata a casa, Luisa lo mette accanto alla fiammella di una candela e così può leggere i messaggi del marito.
Il testamento spirituale
Dopo l’attentato partigiano di via Rasella, i tedeschi decidono la rappresaglia. Nell’elenco dei 330 condannati a morte (alla fine, però, furono 335) finisce anche il suo nome. Il 24 marzo del 1944 viene trucidato alle Fosse Ardeatine. Qualche ora prima di essere trasportato nel luogo della morte, Sabato scrive sul muro della sua cella alcuni versi, quasi un testamento ideale: “Quando il tuo corpo/ non sarà più, il tuo/ spirito sarà ancora più/ vivo nel ricordo di/ chi resta. Fa che/ possa essere sempre/ di esempio”.
Dopo l’arrivo degli Alleati a Roma, il figlio Giorgio ricostruisce e documenta le sue gesta. Il 28 marzo del 1945 il governo italiano gli concede la medaglia d’oro al valor militare e il comune di Roma gli intitola una via al quartiere Eur.

L’articolo “Sabato Martelli Castaldi, il tuo spirito è vivo ed ancora di esempio” di Mario Avagliano era stato già pubblicato nel numero di luglio 1996 di Panorama Tirreno
Dopo questo articolo, Mario Avagliano si appassionò all’argomento e decise di approfondirlo. Ne venne fuori il libro “Il partigiano Tevere” - Avagliano Editore 1998

Pubblicato nell’inserto del numero 7/9 - settembre 2000 di Panorama Tirreno  (visualizza l’inserto)