I numeri precedenti
PT5_2.pdf
PT5_2.pdf
Cavese
cavese logo.gif
Storia cittadina
Cava storica 12.jpg
Archivio
viaggi
Testata-1oltre.jpg
Testata-1.jpg
grafica metelliana.jpg
attualità
Un soldato cavese racconta la sua esperienza in Ungheria
Missioni militari: “Di pace sì, ma ti considerano un invasore”
“Eravamo tutti del Sud. E per l’uranio impoverito faccio controlli ogni sei mesi”
guerra1
Patrizia Reso
I giornali spesso presentano servizi sulle cosiddette missioni umanitarie condotte dai nostri soldati. I lettori sovente manifestano approvazione o disapprovazione, condivisione dell’iniziativa militare oppure una palese opposizione. La maggior parte  però ne parla con relativo distacco pur mostrando una sincera considerazione per i soldati coinvolti. Il distacco nasce dall’idea generalizzata dei soldati, pensati come individui indossanti una divisa e non come singoli uomini, o ancor più, come giovani, che in alcuni casi hanno scelto di percorrere questa strada unicamente perché non vi è un’alternativa lavorativa.  Sono molti anche i ragazzi cavesi che hanno operato questa scelta, di aderire alla vita militare, di arruolarsi volontari pur di non consumare i propri anni nella disoccupazione.
Mentre l’afa estiva induceva i più a cercare refrigerio nelle acque di Vietri o Cetara, abbiamo incontrato Massimo (nome convenzionale) che ci ha parlato della sua esperienza.
Massimo oggi ha 27 anni. A 17, in piena crisi adolescenziale, decide di abbandonare gli studi e si arruola volontario per l’Esercito. Viene destinato ad Ascoli Piceno dove per tre mesi segue il corso di addestramento ottenendo i gradi di caporale maggiore e la qualifica di conduttore. Ciò gli consente di entrare in qualità di autista nello scaglione destinato a compiere una delle missioni militari umanitarie più discusse negli ultimi anni, la KFOR (Kosovo Force).
Hai richiesto tu di partecipare ad una missione?
- No. E’ stata determinante la qualifica acquisita di conduttore, nel mio caso specifico. Però devo ammettere che sono arrivate numerose telefonate proprio per favorire la partenza di alcuni: è molto ambita la destinazione all’estero.
Tre mesi di Car però sono sufficienti per una  preparazione adeguata a ritmi ed imprevisti di una missione militare?
- Di fatto prima di partire per il campo segue un ulteriore periodo di addestramento. Noi siamo stati in Ungheria, presso campi Nato, dove si organizzano simulazioni di guerra per 24 giorni. Non è infatti sufficiente manifestare una volontà di partecipazione. Necessita un’adeguata preparazione che non li renda sprovveduti di fronte ad eventualità inaspettate.
Ma allora non si tratta di missioni umanitarie?
- Certamente! Noi abbiamo assistito i civili durante il loro esodo, dal Kosovo in Albania, offrendo assistenza e cure; abbiamo svolto un vero e proprio servizio civile provvedendo alla ricostruzione, in alcuni casi costruzione, di strade, ponti, stazioni... Però ciò non toglie che di notte puoi essere attaccato dai locali che ti considerano comunque un invasore. E l’aspetto più drammatico è che, se attaccato con le armi, non ti puoi difendere nello stesso modo proprio perché sei in missione umanitaria! Abbiamo fatto decisamente del bene! Abbiamo portato la vita laddove non esistevano neppure strade...
Perché non hai continuato la ferma?
- Semplice! Perché resti comunque un numero: da questo punto di vista la vita militare non mi è piaciuta.
Cosa  mi dici dell’uranio impoverito?
- Vado regolarmente a fare un controllo ogni sei mesi.
Hai chiesto tu di verificare le tue condizioni di salute?
- Sono stato chiamato a sottopormi al primo controllo con una cartolina, questo dopo che è scoppiato il primo caso nazionale. Finora i controlli hanno dato esiti negativi. Ho perso i contatti con gli altri miei compagni di corso, altrimenti avrei chiesto anche a loro se hanno avuto conseguenze, dato che siamo stati comunque in luoghi disseminati di bombe... Però devo dire che dove stavo io, Page, spesso dei tecnici analizzavano l’aria.
Hai qualche ricordo particolare di questo periodo?
- Decisamente mi ha formato. Sono partito ragazzino e sono tornato adulto.
Chi erano i tuoi compagni di corso?
- Eravamo tutti del sud. Del nord non ricordo nessuno. Siciliani, campani, sardi, calabresi.

Panorama Tirreno, ottobre 2008