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Sport
Regole & Sport - 9
Calcio scommesse 1980 e 1986: genesi della
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frode sportiva
L’ordinamento italiano era impreparato allo scandalo. Anche la Cavese coinvolta: fu retrocessa in C2
Vincenzo Senatore
La legge 401 del 13 dicembre 1989 ebbe una lunghissima gestazione. Sulla necessità dell’introduzione nell’ordinamento nazionale di una norma che sanzionasse la condotta di chi con la promessa o la dazione di denaro o altra utilità condizionasse il risultato di una competizione sportiva si era iniziato a discutere all’indomani del primo scandalo del calcio-scommesse del 1980.
Aquilotti retrocessi e penalizzati di 5 punti
Dopo gli spettacolari provvedimenti restrittivi adottati nel marzo 1980 (molti famosi calciatori furono ammanettati dalla polizia giudiziaria alla fine delle partite sotto gli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche) apparve chiaro, sin dalle prime battute del processo innanzi al Tribunale ordinario, che difficilmente si sarebbe giunti ad una sentenza di condanna, per la semplice ragione che i fatti accertati non erano previsti come reato da alcuna legge dello Stato. E così effettivamente fu. Dopo la vittoria mondiale del 1982, l’argomento fu totalmente dimenticato dalla classe politica dell’epoca e la distrazione fu sfruttata da altri soggetti, che, con modalità più o meno analoghe, dettero vita al secondo calcio scommesse, quello del 1986. In tale seconda occasione fra le società che pagarono il prezzo più alto in sede di giustizia sportiva, vi fu la Cavese, retrocessa nel campionato di serie C2 e penalizzata di cinque punti, ed il presidente di allora, Guerino Amato, colpito dalla massima punizione di 5 anni di inibizione con proposta di radiazione.
La nuova ondata di scandali trovò ancora una volta impreparato l’ordinamento nazionale, tanto che, anche allora, nessuna sanzione potè essere irrogata da Giudici dello Stato, perché i fatti non erano previsti dalla legge come reato.
 Stavolta, però, l’argomento non fu dimenticato dalla politica ed infatti nel dicembre del 1989 la tanto attesa legge fu approvata. A dire il vero si trattava di un provvedimento legislativo molto somigliante ad un vestito di Arlecchino, tanto è vero che ai primi cinque articoli, che si riferivano alla frode in competizioni sportive ed all’esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, furono aggiunti altri tre articoli che riguardavano la violenza negli stadi. Si ebbe, da un lato, la sensazione di un legislatore omnicomprensivo, anche se, dall’altro, meravigliò non poco il mancato riferimento al doping. Per regolare normativamente tale pericolosissima e diffusissima pratica fu necessario attendere altri undici anni.
Una truffa che non era considerata reato
La ragione per la quale gli autori delle combines del 1980 e del 1986 erano andati esenti da sanzione penale fu determinata dalla impossibilità di ricondurre quelle condotte al classico reato di truffa. Si evidenziò, in particolare, che nell’accordo fraudolento di due o più calciatori, allenatori, dirigenti finalizzato a pilotare il risultato di una gara vi poteva essere l’induzione in errore degli scommettitori e della stessa federazione, oltre che del Coni. Vi era l’ingiusto vantaggio patrimoniale con corrispondente danno per chi, ignaro, scommetteva su una gara, il cui risultato, in realtà, era già stato concordato a tavolino, ma, tuttavia, non poteva esattamente affermarsi che quella condotta fosse un artifizio o un raggiro. Fu, insomma, il vuoto normativo rilevato dai giudici penali, con le consequenziali sentenze assolutorie con la formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato” a dare al legislatore la spinta necessaria, che, effettivamente, condusse alla approvazione della Legge 401/89 e, specificamente, ai primi quattro articoli di tale disposizione.

Panorama Tirreno, novembre 2008

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