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Addio Settimia, non dimenticheremo
Lei cittadina onoraria, noi cittadini onorati
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Patrizia Reso
Durante la notte del 4 luglio 2000, colpita da infarto, è morta Settimia Spizzichino, figura altamente rappresentativa della comunità ebraica romana, nostra cittadina onoraria, voce storica per i giovani, gli studenti. Unica superstite donna del rastrellamento avvenuto il 16 ottobre del ‘43 nel quartiere-ghetto di Portico d’Ottavia a Roma, dove furono deportati 1022 ebrei . L’ultimo incontro che Settimia Spizzichino ha tenuto con i nostri ragazzi a Cava è avvenuto a maggio, e nulla lasciava presagire un evento simile. Settimia è apparsa a tutti in buona forma fisica, forte come sempre, sprigionante energia vitale. Le persone a lei più vicine però avevano notato qualcosa. Con Angela, la sua amica più cara di Cava, aveva più volte confessato di sentirsi stanca. Anche alla nipote Carla non erano sfuggiti dei piccoli cambiamenti, tanto da pensare: ”Forse ha fatto troppe testimonianze nell’ultimo periodo, troppi ricordi... Avranno scosso il suo equilibrio”. Forse è proprio così: sotto la scorza dura Settimia celava una fragilità già fortemente provata. Quei ricordi, più profondi delle cicatrici che portava sul corpo, di cui parlava con tanta veemenza, che voleva a tutti i costi che i giovani conoscessero perché la memoria della Shoah non venga seppellita con i corpi dei milioni di ebrei trucidati dai nazisti, quei ricordi si manifestavano prepotentemente durante le sue notti. Ha vissuto il suo dolore con grande dignità, senza vittimismi di sorta, e la dignità è stato il tema dominante nel saluto di commiato del rabbino della comunità ebraica romana durante il rito funebre officiato a Roma, la sua città natale. Estremamente significativo è stato il giro compiuto all’interno del ghetto ebreo di fronte all’isola Tiberina, al quale hanno partecipato le massime autorità della comunità ebraica, della città di Roma, della città di Cava, dell’associazione dei deportati di Auschwitz-Bìrchenau e di Bergen-Belsen , tutti con i relativi vessilli: Vigili urbani in alta uniforme bianca aprivano la strada.
Alti onori quindi per Settimia Spizzichino, nonostante fosse solita ripetere che desiderava un funerale semplice, addirittura che non ci fosse nessuno al suo seguito. Invece le persone erano tante e tanti i giovani con i quali adorava parlare e dei quali si attorniava. La sua testimonianza ha lasciato segni profondi in ognuno di noi: ha gettato un seme che fortunatamente è germogliato. Il seme dell’educazione alla tolleranza ed al rispetto, affinché istituzioni, enti, collettività possano costruire quel mondo in cui Settimia credeva quando è stata strappata alla sua gioventù, quando le hanno annientato la famiglia, quando era piena di entusiasmo per la vita; costruire quel mondo in cui continuava a credere nonostante le atroci esperienze patite, nonostante gli pseudo-esperimenti di Mengele e dei suoi assistenti, nonostante il grande dolore che si portava dentro da cinquant’anni e più. Un mondo fatto di giustizia, di diritti umani rispettati, senza barriere religiose, senza muri erti per separare. Certo è apparsa come una profonda contraddizione vedere procedere Settimia tra i muri di Roma tappezzati di manifesti con l’immagine di due bambini stupendi, biondi, belli, perfetti con su la scritta: “Gay, lesbiche, transex: ma che siamo matti? L’Italia ha bisogno di bambini”, recanti la firma della destra storica del Paese. Attraverso questo percorso la salma è stata condotta presso la Sinagoga del cimitero del Verano, dove è stata sottoposta al tradizionale lavaggio previsto dalla religione ebraica. In questa sala, scarna, semplice, dove si respiravano gli inebrianti odori di unguenti e profumi e dove una stele marmorea capeggiava con i versi: “Questo mondo è paragonabile ad una sala d’aspetto in rapporto al mondo venturo. Preparati nella sala d’aspetto perché tu possa entrare in quella del convito” (Perek Avod), sono stati declamati i salmi con quelle notazioni musicali da farli apparire nenie, ed è stato porto l’ultimo saluto a Settimia. Non solo da parte della comunità ebraica, ma anche dal rappresentante della comunità cristiana di S.Egidio, che ha ricordato la manifestazione del 16 ottobre che ogni anno percorre le strade di Roma, in ricordo delle vittime del rastrellamento del ‘43. L’associazione dei deportati ha ricordato invece l’appuntamento, al quale purtroppo Settimia sarebbe stata assente, per il giorno successivo dedicato ad un’ulteriore testimonianza, questa volta però incompleta. Infine il nostro sindaco, Raffaele Fiorillo, profondamente commosso, ha ringraziato Settimia “… per la forza che hai avuto nel raccontare, per il privilegio che ci hai dato nell’accettare di diventare cittadina onoraria di Cava, per averci dato l’onore di annoverarci tra i tuoi amici”.
Settimia ci ha lasciato una gravosa eredità, senz’altro corposa, sostanziosa, ma decisamente onerosa, che noi dovremo sapere far fruttare: questo sarà l’unico modo per continuare il percorso da lei iniziato tanto dolorosamente, per trasformare la storia in leggenda, affinché il suo nome sia sempre vivo in noi.

Il dovere del ricordo
Non era passata per il camino 55 anni fa, come i suoi familiari, i suoi conoscenti e gli altri sei milioni di ebrei vittime della furia nazista. Era tornata a Roma, insieme a pochi altri abitanti del ghetto, lei, unica donna di quel gruppo incredulo di sopravvissuti. Da quel momento Settimia Spizzichino aveva deciso che, in cambio della vita salvata, suo massimo dovere fosse ricordare e raccontare agli altri, specie ai più giovani, ai nostri figli, prede dei Pokemon, che rischiano di non conoscere la follia dei lager.  Ha raggiunto i fratelli vittime dello sterminio, portando con sé quel numero che le SS le avevano impresso sul braccio come unico segno di identificazione all’ingresso di Auschwitz.
Spizzichino aveva incontrato Cava de’ Tirreni qualche anno fa ed era stato un abbraccio. Nel 1998 era diventata concittadina onoraria, dopo che il Comune, nel ’96, si era prestato per la pubblicazione del suo preziosissimo libro “Gli anni rubati”. Da allora le visite a Cava erano state frequenti; l’ultima tre mesi fa, quando incontrò anche gli studenti di quarta e quinta elementare di Santa Lucia e quelli della scuola media. «Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare - aveva detto, - ma io no. Della vita voglio ricordare tutto, perché è parte della mia esistenza e soprattutto parte della vita di tanti altri che dai lager non sono usciti vivi. A queste persone io devo il ricordo».
Addio, Settimia, la storia ha perso una voce vera, autentica. Hai ragione, dovremo fare in modo di non dimenticare, mai. È il nostro impegno, un impegno che ti dobbiamo.
Enrico Passaro