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Grazie, Direttore
Biagio Angrisani
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Esistono delle cose nella vita che non si vorrebbe mai fare. Non per pigrizia ma perché sono velate dalla tristezza che accompagna la morte.
Ho appreso la notizia del decesso di Domenico Apicella, via telefono, da un collega di Cava, mentre ero al mio posto di lavoro in redazione. «Hai saputo? E’ morto Mimì Apicella». Sapevo delle condizioni del Direttore, ma i discepoli pensano sempre che i maestri siano immortali. Invece, vita e morte si rincorrono senza tregua.
Dopo la ferale notizia, una serie di flash back mi hanno colpito a ripetizione distogliendomi, per qualche minuto, da quel lavoro che proprio il Direttore, prima di altri, mi aveva insegnato, come si fa con un bambino quando muove i primi passi.
Ero un liceale quindicenne lettore de “Il Castello “ e un giorno scrissi un articolo sulle condizioni dell’edificio scolastico che frequentavo. Lo inviai, per posta, al Direttore che non lo pubblicò sul numero successivo. Dopo qualche settimana, sotto i portici, incontrai il Direttore.
Era la prima volta che dialogavo con lui e al pari di tutti i maestri peripatetici, per incanto, mi ritrovai accanto a un tipografo che stava lavorando a “II Castello”. Non osavo parlare dell’articolo che avevo spedito ma all’improvviso ebbi un sussulto. II tipografo, all’epoca c’era la composizione al piombo, stava digitando proprio quel testo quando il Direttore mi disse «Questo articolo è lungo. Taglialo un poco, cum grano salis...». Eseguita la richiesta, trovai anche il coraggio di dire che ero I’autore. E il Direttore replicò invitandomi a tornare in tipografia nel pomeriggio perché c’erano i giornali da piegare e preparare la spedizione.
Dieci anni dopo il Direttore, esaudì la mia richiesta di un attestato di presentazione per l’Ordine dei giornalisti di Napoli, un atto necessario per ottenere la tessera di pubblicista. Quando consegnai la documentazione a Napoli rimasi sorpreso nell’apprendere che, in tantissimi anni, solo due persone avevano avuto lo stesso attestato dal Direttore Domenico Apicella di Cava de’ Tirreni e l’allora presidente dell’Ordine di Napoli si raccomandò affinché i suoi saluti pervenissero al Direttore de “II Castello”, decano dei giornalisti campani.
Grazie anche a quella tessera di pubblicista conquistata con “II Castello”, ho ricevuto il mio primo contratto di giornalista con regolare stipendio. In seguito ho sostenuto l’esame per professionista dopo (appena) diciotto mesi, come vuole la legge. Nei primi dieci anni di collaborazione al “Castello” - una presenza saltuaria tenendo conto delIe esigenze di un ragazzo che si apre alla vita - avevo però appreso non solo il mestiere di giornalista, ma anche come si confeziona un prodotto editoriale, l’organizzazione della distribuzione, alcune tecniche di marketing (senza conoscerne all’epoca il termine), i corpi e le giustezze e tante altre cose.
E mentre i ricordi pulsavano, sul mio video terminate in redazione era giunto un “pezzo” di un corrispondente che aveva scritto diverse righe in più del necessario. Voce di dentro: «Taglialo cum grano salis e fai il titolo giusto perché un bravo giornalista oltre a scrivere un articolo, deve sapere realizzare un buon giornale».

Panorama Tirreno, novembre 1996